Questo sito utilizza cookies tecnici per l'analisi del traffico, in forma anonima e senza finalità commerciali di alcun tipo; proseguendo la navigazione si acconsente all'uso dei medesimi Ok, accetto

In arrivo gli “inibitori di Jak”
per curare la dermatite atopica

di Michela Perrone

È probabilmente la più comune malattia infiammatoria della pelle: colpisce dal 10 al 20% dei bambini in età prescolare e dal 3 al 5% degli adulti. Tuttavia, la sua forma grave riguarda “solo” il 10-20% di queste persone. È la dermatite atopica, anche conosciuta come eczema della pelle. Si tratta di una patologia particolarmente fastidiosa e – nelle sue forme più gravi – invalidante, che può esordire in qualunque fase della vita. Le lesioni riguardano specifiche parti del corpo come viso, collo, zona genitale, pieghe dei gomiti e delle ginocchia, e sono caratterizzate da forte prurito. Più sono estese, più impattano sulla qualità della vita dei pazienti, impedendo loro di dormire bene e alterando le loro capacità lavorative o di studio. 

Negli ultimi anni sono arrivati alcuni nuovi farmaci per la cura delle forme severe, e in futuro ne avremo a disposizione altri. «C’è molto fermento da questo punto di vista e ritengo che tra 2-3 anni potranno arrivare sul mercato i cosiddetti inibitori di Jak, terapie orali molto promettenti», anticipa Giampiero Girolomoni, professore di dermatologia all’Università di Verona.

LE TERAPIE - In questo momento le forme lievi e moderate della malattia sono tenute sotto controllo con creme idratanti e antinfiammatorie, mentre per i casi più seri ci sono due possibilità: la terapia sistemica, oppure l’utilizzo di farmaci biologici. «Nel primo caso stiamo parlando di ciclosporina, metotrexato, azatioprina, molecole che hanno alcuni limiti legati alle controindicazioni e alla tollerabilità - spiega Girolomoni. - Conosciamo però molto bene gli effetti avversi: è come se stessimo guidando un’auto molto potente con tutti gli strumenti per non farla uscire di strada». Questi farmaci sono per molti, ma non per tutti. Sono infatti preclusi a categorie di persone con alcuni altri problemi di salute. «Da poco più di un anno abbiamo a disposizione dupilumab, un anticorpo monoclonale abbastanza efficace, privo di controindicazioni e ben tollerato - prosegue il dermatologo. - Non è un immunosoppressivo e viene somministrato per via iniettiva ogni 15 giorni». Questo nuovo farmaco è prescritto alle persone che non sono adatte alla terapia sistemica, ed è distribuito a livello ospedaliero.

Infine, gli inibitori di Jak1, che in questo momento sono ancora allo studio e che, come accennavamo, appaiono promettenti. «Da quello che sappiamo, sono una classe di farmaci che potrebbero dare qualche problema di tolleranza, soprattutto all’inizio, come mal di testa e nausea - dice Girolomoni. - Inoltre, è necessario controllarli periodicamente con analisi del sangue. Agiscono a valle dei meccanismi infiammatori, sono meno selettivi. Si potrebbero definire ad ampio spettro. Hanno il vantaggio di essere più flessibili: la terapia orale può infatti essere somministrata per brevi periodi, modulandola in maniera più precisa in base alle caratteristiche del paziente».

Dupilumab, da parte sua, agisce su un meccanismo immunologico molto specifico, bloccando una sostanza che si chiama interluchina 4 e 13. «Questo e quelli che arriveranno sono farmaci molto costosi – ricorda Girolomoni. – Per il momento la loro gestione è riservata agli ospedali, ma ritengo che questo sarà una questione di cui dovremo occuparci in futuro. Un medico del territorio, infatti, non può prescrivere queste classi di farmaci».

EREDITARIETÀ DELLA MALATTIA - Le cause della dermatite atopica non sono ancora del tutto note, ma si sa che la componente genetica svolge un ruolo importante. «Non ci sono molti studi in questo senso, ma quelli che abbiamo identificano nella madre la principale veicolatrice della malattia - spiega l’esperto. - In generale, se i genitori hanno la dermatite atopica, i loro figli avranno un rischio maggiore di contrarla a loro volta». Si può prevenire in qualche modo? «Ci sono delle prove abbastanza significative che l’assumere probiotici durante il terzo trimestre di gravidanza possa ridurre questo rischio».

Secondo Girolomoni, in quest’ambito i problemi principali sono due: «Il primo è che se la prevenzione funziona non succede nulla; dunque la sua efficacia è quindi sempre un concetto difficile da trasmettere. E il secondo è che di solito una donna in gravidanza non è seguita da un dermatologo, quindi non ha la possibilità di essere consigliata da questo punto di vista». 

Una figura specializzata nelle malattie della pelle sarebbe molto utile anche dopo la nascita del bambino: «Si è visto - conclude Girolomoni - che più si cura e si tiene sotto controllo, più la dermatite atopica ha un’evoluzione favorevole. Partire subito potrebbe costituire un vantaggio importante».     

Data ultimo aggiornamento 14 dicembre 2020
© Riproduzione riservata | Assedio Bianco


Vedi anche: • Dupilumab, nuovo farmaco per la dermatite atopica grave


Tags: dermatite atopica, dupilumab, pelle



Warning: Use of undefined constant lang - assumed 'lang' (this will throw an Error in a future version of PHP) in /var/www/nuevo.assediobianco.ch/htdocs/includes/gallery_swiper.php on line 201

Notice: Undefined index: lang in /var/www/nuevo.assediobianco.ch/htdocs/includes/gallery_swiper.php on line 201

Lungo il fiume, in missione, parte la caccia ai nemici invisibili

Chiudi

Provate a immaginare il nostro corpo come se fosse una nazione... Una nazione delimitata da lunghi confini, con poliziotti e soldati dappertutto, posti di blocco, caserme, per cercare di mantenere l’ordine pubblico e allontanare i nemici, perennemente in agguato.

Le acque dei numerosissimi fiumi e canali (i vasi sanguigni) vengono sorvegliate giorno e notte da un poderoso sistema di sicurezza. Ma non è facile mantenere l’ordine in una nazione che ha molti miliardi di abitanti, e altrettanti nemici e clandestini.

Le comunicazioni avvengono attraverso una rete di sottili cavi elettrici, oppure tramite valigette (gli ormoni e molti altri tipi di molecole), che vengono liberate nei corsi d’acqua. Ogni valigetta possiede una serie di codici riservati solo al destinatario, che così è in grado di riconoscerla e prelevarla appena la “incrocia”.

Le valigette possono contenere segnali d’allarme lanciati dalle pattuglie che stanno perlustrando i vari distretti dell’organismo e hanno bisogno di rinforzi. Fra i primi ad accorrere sono, di norma, gli agenti del reparto Mangia-Nemici (i monociti). Grazie alle istruzioni contenute nelle valigette, identificano all’istante il luogo da cui è partito l’allarme ed entrano aprendo una breccia nelle pareti.

Quando si trovano davanti ai nemici, i monociti si trasformano, accentuando la loro aggressività e la loro potenza. Diventano, così, agenti Grande-Bocca (i macrofagi). Come in un film di fantascienza, dal loro corpo spuntano prolungamenti che permettono di avvolgere gli avversari e catturarli rapidamente, dopo avere controllato i passaporti.

I nemici vengono inghiottiti, letteralmente, e chiusi in una capsula, all’interno del corpo degli agenti: una sorta di “camera della morte”. A questo punto scatta la loro uccisione, tramite liquidi corrosivi e digestivi, che li sciolgono.

VAI ALLA VERSIONE COMPLETA